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Scivola l’acqua

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Amore mio, scivola l'acqua dalla grondaia
e un cucchiaio di legno rimesta
nella pentola il ragù in bollitura.

Dalla porta-finestra tu ammiri il cielo
mentre io aspiro piacere dalle tue forme
e non c'è sale e non c'è punta di zucchero
più della vena quando soggiace all'eros.

Se mi presti le dita delle tue mani
rifarò daccapo il percorso degli antichi
e di nuovo imparerò l'arte del contare
fino alla sconfitta delle zero, l'impossibile
somma di due sentimenti contrastanti.

Sì, lo confesso: ho immaginato a lungo
per pensarmi meno straniero e sperduto
nella grande metropoli americana -
leggevo Kerouac e Ginsberg fino a Bukowski -
di arrivare tra i grattaceli di New York
e vedere ad un trentacinquesimo piano
una mutandina stesa di colore rosa
oppure una canottiera bianca in stile muratore
simili ai nostri vasi sul davanzale oltre il vetro.

Qui le ore passano con regolarità
sembrano secondini di una prigione
alle dipendenze del tiranno Tempo
o sentinelle armate di minuti
che sorvegliano l'affannarsi del giorno
a non errare nel presente ma a mutarsi presto
in un elemento nobile della teoria degli ieri.

Tu ora guardami allo specchio, Amoremio,
in quella verticale silenziosa d'inganni
e credimi ancora di là, nel dentro del riflesso,
però anch'io già non sono più ed evaporo
come l'odore del ragù sul fuoco che continua ad ardere
noncurante della nostra fame di luci ed ombre
alla corte fragorosa degli accesi sensi.

Non c'è altra salvezza d'attimo
che l'evidenza della tua bocca: bacio o parola
nel rito della lingua m'inebrio la mente.



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